Chi Sono Io nella Fila della Chiesa?
Por Abilio Machado
La fila in chiesa si forma ogni domenica, senza eccezioni. C’è chi arriva presto per assicurarsi un buon posto, chi arriva all’ultimo minuto e, ovviamente, i famosi ritardatari, che entrano nell’ultima fila già con un’aria di scusa sul viso, come se la salvezza avesse un’ora precisa e loro fossero in ritardo per l’incontro col Signore.
Ognuno, in cuor suo, si chiede: “Chi sono io in questa fila?” Il pensiero aleggia, leggero ma ironico, soprattutto nelle menti di chi è lì solo per abitudine o per la forza della tradizione. Chi sono, in fin dei conti? Sono uno che cerca davvero la spiritualità, o solo uno che segue i passi imparati da piccolo, in una routine così radicata quanto l’orologio che segna l’inizio della messa?
Nella fila, c’è un caleidoscopio di volti e intenzioni. C’è il devoto fervente, quello che guarda l’altare con occhi luminosi, come se lì trovasse davvero la sua fonte di vita e amore. C’è la signora dai capelli bianchi, che stringe il rosario con una forza quasi disperata, come se quelle perline fossero la sua ancora contro la solitudine che sente nella vita. E c’è anche il ragazzo col cappello, che sembra un po’ perso, forse lì per insistenza della famiglia, o forse nella speranza di un miracolo che non sa bene quale sia. Ognuno, a modo suo, affronta i propri dolori e credenze, e si chiede, nel profondo: “Sarò nel posto giusto?”
E poi, cosa dire di chi è lì solo per farsi vedere? Per chi la chiesa è un palcoscenico e la messa uno spettacolo dove possono mostrare la loro pietà e devozione come chi mostra un vestito nuovo. La signora con i tacchi alti, sempre impeccabile, si assicura di sedersi nelle prime file. Porge la mano nel momento del Padre Nostro, ma lo sguardo non incontra mai quello degli altri. C’è anche l’imprenditore di successo, la cui fede sembra puntuale e calcolata, come se stesse costruendo un credito celeste per essere più fortunato nei suoi affari terreni.
“Chi sono io nella fila della chiesa?” – si chiedono, senza dire nulla, senza guardarsi negli occhi. Forse sono solo uno come tanti, che adempie alle formalità, uno che ripete preghiere senza ascoltarle, che ascolta i sermoni senza riflettere. Forse la mia presenza qui è un atto di convenienza, di abitudine, un desiderio di essere in comunione con il Divino senza sapere bene come trovarlo.
E allora, arriva la domanda che forse fa più male: “Sono sincero?” Perché la fede, se è genuina, deve andare oltre le pareti della chiesa, vero? Deve esserci quando incontro qualcuno per strada, quando affronto le imperfezioni degli altri – e anche le mie. Deve manifestarsi nel rispetto, nell’empatia, nell’amore vero, quello che non dipende dagli sguardi altrui per essere approvato.
Guardandomi attorno, mi rendo conto che forse la fila della chiesa è, in fondo, uno specchio della fila della vita. Ognuno cerca il proprio senso, la propria salvezza. Alcuni, più vicini all’amore che predicano; altri, lontani, intrappolati in una meccanica di credenze e rituali vuoti. E io? Chi sono io in questa fila? Sono quello che cerca la luce o quello che si nasconde nell’ombra degli altri?
Forse non so la risposta adesso. Forse la fila della chiesa è una metafora della mia stessa ricerca spirituale, dove ancora mi trovo errante, perso tra il desiderio di trasformarmi e il conforto di ciò che già conosco.
Alla fine dei conti, la domanda “Chi sono io nella fila della chiesa?” si rivela una porta verso domande più grandi, quelle che ciascuno porta nell’anima: Qual è il senso della mia ricerca? Dove trovo davvero il sacro? E chi sono io, davvero, quando non ci sono occhi che mi osservano?
Queste domande, senza risposta facile, sono l’invito alla vera spiritualità, quella che comincia quando si esce dalla porta della chiesa – e continua, incessante, nella vita di tutti i giorni.
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